Non è stato facile individuare il luogo dove è stato effettuato questo scatto. Il maggior numero di sciostre, ovvero di magazzini e depositi, si trovavano nel tratto che andava dal naviglio di Varenna fino al laghetto di Santo Stefano che fungeva da vero e proprio porto non solo per il marmo di candoglia della Veneranda Fabbrica del Duomo. Dietro questi magazzini si trovavano le abitazioni diposte a pettine rispetto al canale una zona tra le più popolari della città. In questi depositi venivano stoccati, il legname, il carbone, la calce, le pietre, il marmo, il vino,ma anche generi alimentari come pesci, formaggi, castagne e animali d'allevamento. Le materie prime, una volta lavorate, prendevano poi la via del ritorno per venire vendute in tutta la Lombardia e persino in Svizzera. Questa sciostra in particolare si trovava in via Santa Sofia e accanto ad un deposito di legna ospitava uno spazio per le lavandaie: le possiamo osservare nella foto mentre, riparate dal sole con delle lenzuola ed un ombrello, svolgono il loro duro lavoro. Successivamente tutta la sciostra verrà utilizzata come deposito di legna,la tettoia verrà prolungata e verrà realizzato un parapetto in legno. Una curiosità: questo è l'unico punto dove la cerchia dei navigli ha un angolo convesso e guardando la fotografia attentamente si può vedere come il vertice fosse proprio all'altezza di questa sciostra.
André Leroi un fotografo francese sui navigli
martedì 13 novembre 2018
lunedì 29 ottobre 2018
I navigli a colori
Siamo venuti in possesso di una cartella contenente una trentina di fotografie realizzate lungo i navigli milanesi da Leroy in occasione dei suoi soggiorni in città. Le foto, grazie al colore, ripropongono la bellezza e l'armonia di questo canale, ora scomparso, ed il rimpianto per una Milano a misura d'uomo, accogliente e affabile, anche se molto più povera rispetto alla città attuale. Abbiamo scelto di pubblicare alcune immagini rappresentative dell'intera collezione e speriamo di realizzare presto un libro fotografico che le contenga tutte.
giovedì 18 ottobre 2018
l'epilogo
In
Francia, terminata la collaborazione con Albert Kahn, André tornò
al suo lavoro ordinario di fotografo in una Parigi che non si era
ancora completamente risollevata dalla guerra. Il lungo periodo
trascorso all'estero gli aveva fatto perdere molti committenti e ora
la concorrenza era molto più agguerrita. Per rinnovare
l'attrezzatura dello studio dovette poi investire parecchio denaro
indebitandosi con le banche. Il fotografo proseguì l' attività
ancora per qualche anno ma poi preferì vendere lo studio, saldare
tutti i debiti e partire. Tutto il suo archivio, i negativi, le
lastre andarono purtroppo dispersi: ogni tanto alcune sue immagini
riappaiono presso antiquari o robivecchi come le foto scattate sui
navigli di Milano che abbiamo trovato a Parigi. Giunto a Marsiglia,
André Leroi prese una nave per la Guadalupa e si stabilì nel paese
di Sainte Rose. Non abbiamo alcuna notizia della sua vita sull'isola
e non conosciamo nemmeno la data della sua morte. La sua sepoltura
verrà ritrovata solo nel secondo dopoguerra nel cimitero del
paese. Era un semplice mucchio di terra decorato con una cornice di
conchiglie come sull'isola si usa fare quando le persone sepolte sono
modeste o dimenticate.
domenica 14 ottobre 2018
l'ultimo viaggio a Milano
La
collaborazione di André Leroi per il progetto degli Archives
de la Planète fu
interrotta
nel 1914 con lo scoppio della prima guerra mondiale.
Durante il conflitto il fotografo fu chiamato dal governo francese a
documentare quello che avrebbe dovuto essere per la propaganda un
breve conflitto vittorioso. Leroi poté così riprendere il suo
lavoro solo dopo il i918 e nel 1924 intraprese un lungo viaggio in
Italia e per l'ultima volta soggiornò a Milano. L'albergo del pozzo
era stato chiuso nel 1918 ed il fotografo scelse di soggiornare
all'albergo “Bella Venezia” che si trovava in piazza San Fedele.
Nell'albergo avevano alloggiato nomi illustri come Stendhal, Silvio
Pellico, Giuseppe Mazzini, Cavour e Garibaldi ed era molto apprezzato
dai turisti d'oltralpe perché si parlava francese e gli avvisi erano
scritti anche in quella lingua. Oggi l'edificio che ospitava Il
“Bella Venezia” non esiste più, demolito nel 1930 per far posto
alla sede di una banca. Leroi oltre a fotografare i monumenti e i
luoghi più importanti della città ne approfittò per tornare sui
navigli e riprenderli per l'ultima volta. Il luogo della città che più
aveva ammirato nei suoi viaggi sarebbe infatti scomparso di lì a poco,
coperto per permettere alle automobili di viaggiare più agevolmente in
una Milano che stava diventando la capitale economica d'Italia.
Terminato il suo lavoro il fotografo tornò in Francia
e non fece più nel nostro paese.
martedì 2 ottobre 2018
Lo studio di Parigi
Fu
dopo l'Esposizione Internazionale del Sempione che le strade dei
Lumiere e di André si divisero. La scoperta della fotografia a
colori aveva aperto nuove possibilità di guadagno così Leroi
decisse di mettersi in proprio e di trasferirsi a Parigi in Boulevard
Malesherbes , fuori dalla vecchia cinta daziaria di Parigi, demolita
nel 1860. La casa, costruita dall'architetto
Guillaume-Thérèse-Antoine
Degeorge allievo dell'architetto neoclassico Charles Percier, per
un pittore poi defunto, si sviluppava su tre livelli più un piano
sotterraneo. André la trasformò nella sua casa-laboratorio.
Approfittò delle grandi vetrate del secondo piano per realizzare la
sala di posa e nei locali sotterranei sistemò la camera oscura. A
Parigi cominciò a realizzare moltissime foto della città e presto
ebbe un buon successo tanto che nel 1910 venne chiamato dal banchiere
Albert Kahn a collaborare al progetto degli Archives
de la Planète. Assieme ad altri fotografi
avrebbe girato il mondo per raccontare con le sue immagini a colori
i luoghi più belli del pianeta. Molte sue foto sono conservate oggi
nel Museo Albert-Kahn, nel quartiere Boulogne-Billancourt di Parigi.
mercoledì 26 settembre 2018
L'Esposizione Universale del Sempione
L'occasione
per tornare a Milano fu l'Esposizione Internazionale del Sempione del
1906. I Lumiere avevano appena brevettato l'Autochrome e chiesero ad
André di tornare in Italia per mostrare la novità che stavano
mettendo in commercio. L'esposizione venne inaugurata il 28 aprile e
fino all'11 novembre, quando l'evento chiuse i battenti, il fotografo
visse a Milano nella sua stanza all'albergo del Pozzo che già aveva
apprezzato nel suo precedente soggiorno. Ogni mattina da via Torino
raggiungeva con il tram il Parco Sempione dove si trovava l'ingresso
principale all'Esposizione. Percorso un piccolo tratto all'interno
del parco arrivava alla stazione ferroviaria dove un trenino
elettrico con quattro carrozze che viaggiava su un viadotto in legno
lo conduceva fino alla stazione dell'ex Piazza d'Armi dove si trovava
l'altra sede dell'Esposizione. Qui, di fronte
al
grande faro costruito dalla filotecnica di Angelo Salmoiraghi per il
padiglione dei trasporti, si trovava il padiglione dell'Arte
Decorativa Francese dove i Lumiere avevano predisposto uno spazio
espositivo. Nonostante i numerosi impegni André, durante questo
lungo periodo trascorso in città, riuscì a realizzare diverse
fotografie con la sua fotocamera impressionando le nuove lastre a
colori per poi la sera svilupparle nel suo albergo. Fu un periodo
professionalmente importante che permise al fotografo di acquisire
una grande maestria tecnica nel realizzare queste prime fotografie a
colori.
venerdì 21 settembre 2018
Il ritorno a Lione e l'autochrome
"Piove anche oggi! Torniamo a Lione.." Così André scrive sotto la foto di un brumista forse della carrozza che avrebbe ricondotto lui e Auguste a Lione. Tornati nella città francese continuarono a studiare la possibilità di realizzare delle fotografie a colori. Nel 1906 i Lumiere brevetteranno l'Autochrome e a partire dal 1907 vennero prodotte 6000 lastre al giorno per un totale di 50 milioni.I colori che apparivano sulla lastra erano ottenuti grazie a dei minuscoli granelli di fecola di patate colorati in verde, blu-violetto e arancione. Questi venivano stesi su un suppoto in vetro in modo che non si sovrapponessero ma fossero giustapposti. Gli interstizi venivano poi riempiti con nerofumo per poi stendere sul tutto un'emulsione fotografica in bianco e nero. Dopo essere stata esposta e sviluppata, ottenuto un negativo a colori, la lastra veniva sottoposta ad un procedimento di inversione per ottenere finalmente un'immagine positiva. L'immagine ottenuta, se osservata da vicino, appariva come un quadro puntinista per via dei granelli di fecola utilizzati.
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